Nel famoso romanzo di guerra di Ernst Hemingway Addio, soldato è una potente scena del tribunale militare. Lì, la polizia militare italiana ha arrestato un gruppo di ufficiali italiani che, nella confusione durante la ritirata dei combattimenti, si trovavano fuori dal loro reparto. Li accolse per un interrogatorio, a cui seguì un processo e presto le condanne furono comminate ed eseguite. Tutto è successo molto velocemente. Un giovane soldato dell’esercito disse sdegnosamente a un vecchio ufficiale: “Solo tu e la tua gente permettete ai barbari di attaccare la terra santa della nostra patria”. L’ufficiale gli chiese: “Hai mai fatto un ritiro?” Il giovane rispose: “L’Italia non deve ritirarsi”. Quindi l’ufficiale è stato giustiziato. Gli altri sono stati rapidamente portati dentro.
Hemingway ha osservato questo crudele teatro della giustizia attraverso gli occhi del suo eroe, descrivendolo nel suo stile caratteristico, e in seguito ha scritto una frase di Hemingway che sarebbe rimasta impressa nei lettori: “Gli interrogatori sono caratterizzati da uno squisito distacco e da una devozione alla giustizia rigorosa, che quelli che affrontano la morte e da soli non sono in pericolo di morte.’
Vale forse la pena ricordare quella frase nel primo anniversario della peggiore guerra dalla fine di quella che si crede l’ultima in Europa: no, la Jugoslavia non va dimenticata… Ossia, per estrarre quella frase da un antico classico sulla guerra (pubblicato nel 1929), in cui l’eroe autobiografico, l’americano Frederick Henry, va probabilmente a vederlo da vicino, ma poi lo lascia perché non crede più al suo significato, alla sua giustizia. , nel risultato. Si trova nel mormorio della guerra, viene ferito a morte, si trova più volte in pericolo, vive una vita militare, anche se in qualche modo privilegiata – e gradualmente arriva alla conclusione che la guerra è puro male, puro tradimento di una persona, un crimine che nulla può perdonare. C’è un atteggiamento secondo cui l’uomo è solo al mondo, abbandonato, condannato a morte, le uniche cose che hanno valore al mondo sono l’amore, il coraggio, l’amicizia virile e il buon bere. Henry trova l’amore nell’infermiera Catherine, aspettano un figlio insieme, fuggono in Svizzera, il bambino sta per nascere… Chi ha letto il libro non dimenticherà mai il finale.
Contro questo diritto alla vita, la cui unica speranza è dare un senso, si oppone “la noia e la splendida devozione di coloro che hanno a che fare con la morte e che non sono essi stessi in pericolo di morte”. Tengono in mano le redini della storia, decidono guerre, operazioni di combattimento, chi mandano, chi sacrificano, chi salvano per il momento. Non c’è dubbio che ci sono casi in cui queste persone devono agire, e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è un caso del genere. Ma è sempre bene diffidare della “bella perdita di passione” di chi è al sicuro, lontano dalla possibilità di essere così vicino alla morte da mandarci qualcun altro. Ancor di più quando si tratta della sicurezza delle tastiere e delle stanze silenziose e delle redazioni, dove si scrivono analisi senza compromessi e bellissimi appelli appassionati per lottare fino all’ultima e decisiva vittoria.
Non è escluso che oggi questa ondata di eroismo e grinta da sandalo si alzi ancora e riguardi il bacino ceco. L’unica consolazione è che coloro che sono veramente colpiti non saranno colpiti. Hanno letteralmente guardato la morte e di certo non hanno avuto il tempo o la voglia di adottare un bel contegno. Gloria all’Ucraina!
“Specialista di Internet. Zombieaholic. Evangelista del caffè. Guru dei viaggi. Lettore. Fanatico del web pluripremiato. Orgoglioso drogato di cibo. Amante della cultura pop.”