Ha ancora senso conoscere luoghi sconosciuti, leggere sviluppi politici in paesi lontani, comprendere le trasformazioni sociali di realtà diverse, conoscere le trasformazioni del mondo? “Con le guerre che infuriano, le pandemie globali e l’interdipendenza economica planetaria, oggi è più necessario che mai”ha scritto il suo Carlo Pizzatti Repubblica.
Si chiede però se, per avere informazioni tempestive e corrette, sia sufficiente navigare in Internet. Ha risposto, ovviamente, “no” e ha invitato i lettori che desiderano comprendere l’importanza dell’informazione e il fatto che l’informazione è un servizio vitale a leggere il nuovo libro del prolifico e navigato corrispondente italiano Enrico Franceschini.
Nel “Come viaggiare per il mondo gratis. Un giornalista con la valigia”, questo famoso giornalista di 67 anni racconta la storia della sua vita. Come ha lasciato Bologna (dove è nata nel 1956) nella turbolenta metà degli anni ’70 per iniziare a girare il mondo come inviata per il neonato La Repubblica (lo storico quotidiano del centrosinistra italiano fondato nel 1976).
“Tre continenti, cinque capitali, 20 traslochi e mai noia”, scrive Franceschini, riassume gran parte della sua vita e della sua carriera. Ed è vero che non poteva essersi fatto male, perché in quasi 40 anni ha viaggiato senza sosta (dagli USA alla Russia e dal Medio Oriente all’Europa, oltre che attraverso il Centro America, l’Afghanistan, la Cina, il Giappone e Nord Africa), mentre scriveva di concorsi elettorali e disastri naturali, di Olimpiadi e colpi di stato, di Hollywood e terrorismo, ma anche di quelle folli serate alla Trump Tower di Manhattan con Federico Fellini o per una cena formale in frac a Buckingham , alla presenza della Regina Elisabetta.
Nel suo libro, Franceschini spiega cosa significa spostare continuamente case, città e continenti per svolgere il proprio lavoro, portando dall’interno la professione di corrispondente estero. Ma allo stesso tempo, si chiede se abbia ancora senso aspirare alla pratica nell’era di Internet, dei social media e della rivoluzione digitale. Mentre racconta la sua storia personale di reporter, racconta con passione anche la storia del giornalismo e del Paese in cui vive, concludendo che il mondo avrà sempre bisogno di giornalisti con le valigie in mano.
Per quanto riguarda le interpretazioni di Franceschini, è indicativa la testimonianza di Gaetano Scardocchia, suo primo regista e mentore. “Premette i suoi tasti Olivetti con il fervore di un metalmeccanico: in pieno giorno sudava così tanto che doveva cambiarsi d’abito, e per un po’ ha continuato a premere i tasti del suo casco. Questo trasmette una bella immagine del giornalismo come lavoro nelle miniere: si va sottoterra, si trova una storia da raccontare e poi la si porta a galla il più velocemente possibile. È una professione stabile, concreta, necessaria”disse, riferendosi al giovane cronista che aveva da poco assunto.
Alla fine, Franceschini si è fatto strada verso l’apice del giornalismo italiano – unanimemente riconosciuto come il più autorevole corrispondente estero dall’Italia – ma salire non è per niente facile. Arrivò a New York single. Infatti un suo “amico” giornalista l’ha descritta come “il corrispondente italiano più povero del Nord America”, mentre lo stesso Franceschini ammette di essere stato addirittura costretto a rubare qualche fetta di mortadella (le nascondeva nelle mutande) da un supermercato di Manhattan.
Tuttavia, di notte, si siede sulla recinzione metallica fuori dal condominio in cui vive e fa progetti per il futuro, ammirando la luminosa metropoli americana in compagnia di un aspirante amico barman e aspirante attore di nome Bruce Willis. E all’alba, dall’alba al tramonto, Franceschini scriveva ininterrottamente, almeno tre articoli al giorno.
Dopo New York è andata a Washington e da lì a Mosca, dove ha intervistato con successo Mikhail Gorbaciov durante il colpo di stato contro di lui nell’agosto 1991, e Boris Eltsin subito dopo la sua elezione. Quando Saddam Hussein iniziò a lanciare missili Scud contro Israele nell’inverno del 1991, durante la prima guerra del Golfo, Franceschini era a Tel Aviv, dove intrattenne colloqui con diversi leader, da Benjamin Netanyahu e Ehud Barak ad Ariel Sharon e Yasser Arafat. E a Londra ha coperto la fine della Third Street, le avventure e il dramma dei membri della famiglia reale, la Brexit.
“Questa è la dolce vita” (“era una dolce vita”) si proclama, anche se scrive ancora (in pensione) dalla capitale britannica, dove ha scelto di stabilirsi dopo quasi 40 anni di viaggi gratuiti in giro per il mondo.
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